Italia
Regioni
Storia
Regione Sicilia
Periodo arabo-bizantino
La dominazione bizantina, durata tre secoli e
mezzo, sottopose l'isola, dopo un periodo di
divisione del potere civile dal potere militare
a un regime di dittatura militare. Tale regime,
accompagnato da vessazioni fiscali e
burocratiche, provocò un vasto esodo della
popolazione delle città nelle campagne, dominate
dai latifondi imperiali ed ecclesiastici, e un
correlativo grave deterioramento economico,
sociale e culturale nei secc. VIII e IX.
Contro la dominazione bizantina si ebbero
numerose rivolte, spesso promosse dagli stessi
ufficiali imperiali, finché un ufficiale
bizantino, per fronteggiare l'imperatore Michele
II, ottenne l'intervento in Sicilia di Ziyadat
Allah I, emiro degli Aghlabidi d'Africa (827),
aprendo così la via alla conquista araba
dell'isola, iniziata con l'occupazione di Mazara
e conclusa con quella di Taormina (902).
Retta da emiri o valì nominati dagli Aghlabidi
d'Africa, con Palermo e non più Siracusa come
capitale, la Sicilia ebbe una sorte non
dissimile da quella degli altri paesi
conquistati dagli Arabi, nel complesso molto più
abili, e più popolari, dei Bizantini.
Succeduti in Africa agli Aghlabidi i Fatimidi
(910), l'isola divenne praticamente indipendente
(anche se con residue zone in mano a Bisanzio)
sotto gli emiri Banu Kalb di Palermo (948-1040),
che preservarono l'isola da una nuova offensiva
bizantina, ne moltiplicarono le risorse
economiche con l'introduzione di nuove e
pregiate colture, con il frazionamento, nei
limiti del possibile, dei latifondi e promossero
anche le attività artistiche e intellettuali.
Il regno normanno-svevo
La conquista normanna si compì in un trentennio,
dalla presa di Messina (1061) a quella di Enna,
Butera e Noto (1091); la resistenza araba fu
tenace, specie a Siracusa, difesa dall'emiro Ben
Avert.
Ruggero d'Altavilla, dopo la morte del fratello
Roberto (1085), solo artefice della conquista,
governò col titolo di gran conte di Sicilia e di
Calabria dimostrando un largo spirito
d'iniziativa e di tolleranza; introdusse
l'ordinamento feudale ignoto al paese, ma
temperato dal vigore del potere centrale. A lui
succedettero i figli Simone (1101-1113) e
Ruggero II (1113-1154), che riunì in un unico
Stato i domini normanni della penisola e la
Sicilia ed ebbe dall'antipapa il titolo di re di
Sicilia e di Puglia (1130).
Guglielmo II (1166-1189) continuò la politica
antisveva e filopapale di Guglielmo I, ma fallì
in alcune imprese militari; morto senza eredi,
il regno passò a Enrico VI di Svevia
(1194-1197), posato dal 1186 con abilissima
mossa diplomatica di Federico Barbarossa a
Costanza, sorella di Guglielmo I.
Il duro governo di Enrico VI (1194-1197) rischiò
di compromettere la posizione degli Svevi nel
regno, che fu salva grazie alla politica dello
stesso papa, Innocenzo III, a favore dell'erede
di Enrico VI, Federico II (I come re di Sicilia)
[1197-1250], che portò il regno di Sicilia
all'apogeo della potenza e dello splendore,
facendone il centro politico e spirituale del
Sacro romano impero e un modello di Stato
moderno.
Il periodo aragonese
Nella Sicilia indipendente, sotto gli Aragonesi
si accentuò il regime feudale (parlamento con
tre bracci: ecclesiastico, militare, demaniale),
si appesantì il latifondismo, si ebbe decadenza
economica per le continue guerre che si
protrassero, coi re successivi, fino a quando
Giovanna I d'Angiò rinunciò definitivamente ai
diritti sulla Sicilia (1372, pace di Catania).
Alfonso I (V) il Magnanimo, re d'Aragona
(1416-1458), concluse vittoriosamente la
secolare lotta contro gli Angioini di Napoli
riunendo (1442) sotto un'unica corona, anche se
con amministrazioni separate, tutto il
Mezzogiorno della penisola italiana (Sicilia,
Sardegna e regno di Napoli) e assunse per primo
il titolo di "rex utriusque Siciliae" (re delle
Due Sicilie, peraltro ricomparso nel 1816).
I contadini poterono migliorare le loro
condizioni di vita per l'accresciuta
produttività della terra, il cui acquisto a
enfiteusi o a colonia era solitamente favorito
da franchigie di varia natura. Analogamente si
ebbe una rinascita anche nelle città, che
presero a ripopolarsi e divennero centri attivi
di commerci e di traffici con rinomate fiere
autorizzate dal sovrano (come quelle di Alcamo,
Randazzo, Caltagirone, Tindari). Anche la
cultura conobbe una notevole nella seconda metà
del XIV sec.
Il vicereame spagnolo
Alla morte dell'aragonese Alfonso I (V) il
Magnanimo, la Sicilia si ritrovò inserita
nell'ambito della monarchia spagnola con il
ruolo di vicereame. Assegnata infatti in unione
personale a Giovanni II (1458-1479), re
d'Aragona, l'isola divenne una mera dipendenza
spagnola.
La dominazione spagnola, che durò ancora oltre
due secoli, mostrò chiari segni di crisi
(rivolte antispagnole di numerose città
siciliane nel XVII sec.) in sincronia con la
crisi della stessa monarchia spagnola e finì con
la pace di Utrecht (1713).
La restaurazione del regno
Nel 1713, alla conferenza della pace di Utrecht,
la Sicilia con titolo e dignità di regno fu
assegnata dalle nazioni europee vincitrici nella
guerra di Successione spagnola, a Vittorio
Amedeo II di Savoia a compenso della sua attiva
partecipazione al grande conflitto.
La cessione al duca sabaudo, inizialmente
osteggiata dai Siciliani, venne accettata con
molta soddisfazione sia dai grandi del regno sia
dalle plebi quando all'atto dell'incoronazione
Vittorio Amedeo II giurò l'osservanza dei
privilegi e il riconoscimento delle immunità,
delle esenzioni e degli statuti di cui le città
godevano ormai da tempo remotissimo.
Vittorio Amedeo II, con la sapiente
collaborazione di eminenti rappresentanti
locali, promosse il riordinamento
dell'amministrazione e delle finanze, diede
nuovo impulso all'università di Catania, fece
costruire una flotta mercantile e da guerra per
assicurare i collegamenti tra il regno e il
ducato di Savoia, ma si tornò comunque a
guardare con nostalgia alla Spagna, che nel 1718
occupò l'isola trovando ampi consensi tra i
nobili.
Gli Absburgo d'Austria
La dipendenza dei Siciliani dall'imperatore durò
sedici anni (1718-1734). l'Austria introdusse in
Sicilia un fiscalismo assai più pesante di
quello spagnolo, soprattutto per i metodi di
esazione. Per di più Siciliani e Austriaci non
familiarizzarono mai a causa della lingua di
questi ultimi che nell'isola non era capita.
Perciò quando Carlo di Borbone, duca di Parma,
durante la guerra di Successione polacca escluse
gli Austriaci dal Mezzogiorno d'Italia (1734), i
Siciliani videro con favore il ritorno del
predominio spagnolo.
La Sicilia sotto i Borboni
Sotto Carlo di Borbone (Carlo VII), iniziatore
dell'ultima dinastia regnante, la Sicilia con
Napoli tornò a essere sostanzialmente una
dipendenza spagnola; soltanto nel 1759, la
Sicilia e Napoli costituirono due regni
completamente autonomi sotto il figlio di Carlo,
Ferdinando, che si intitolò IV re di Napoli e
III re di Sicilia.
Dalla severa mortificazione delle loro
tradizioni autonomistiche i Siciliani, di nuovo
governati da un viceré, alimentarono un vivo
risentimento.
Il risentimento dei Siciliani si trasformò
allora in odio e da quel momento iniziarono le
loro aspirazioni separatiste convogliate nelle
lotte popolari del Risorgimento italiano
(rivoluzione del 1820, domata dal generale
Colletta, insurrezione di Palermo nel 1831,
rivolte a Catania e a Siracusa nel 1837). Questo
si avverò soprattutto nel 1848 quando la Sicilia
cacciò i Borboni e donò la reggenza dell'isola a
Ruggiero Settimo, capo del governo
rivoluzionario.
La Sicilia nello Stato italiano
L'isola entrò nel regno d'Italia animata da
fervide speranze di rinnovamento. I sistemi di
governo dei nuovi funzionari piemontesi, però,
non furono i più adatti alla situazione, anzi
essi pretesero di imporre metodi di
amministrazione (specialmente fiscali) che erano
inadeguati e necessariamente impopolari in
Sicilia.
Da qui il cosiddetto "antipiemontesismo"
sfociato ben presto nel brigantaggio, nella
diffidenza e nell'ostilità delle popolazioni che
all'ingiustizia statale cominciarono a preferire
la giustizia semplice e ai loro occhi efficace
di organizzazioni settarie come la mafia
("l'onorata società" che almeno in quel periodo
talvolta tolse al ricco e diede al povero).
Si ebbero così l'insurrezione di Palermo nel
1866, l'eccidio dei contadini di Caltavuturo del
1893, i moti popolari attuati dai fasci dei
lavoratori e contro i quali il siciliano Crispi
operò una durissima repressione.
L'alba del XX sec. trovò la Sicilia alle prese
con quasi tutti i suoi problemi vecchi e nuovi
che né i governi della Destra né quelli della
Sinistra avevano saputo alleviare. Cominciò
allora la grande emigrazione del proletariato
siciliano verso le Americhe e verso l'Australia,
causa di ulteriore impoverimento delle campagne
e dei piccoli centri rurali.
|